Articolo scritto il 24/8 per Reporter

Nel mese di Agosto le borse hanno superato le resistenze segnalate nell’ultimo numero (SP500 > 950, Ftse/Mib > 20.700, Dax > 5.200, Cac40 > 3.400).
Questo break-out, che era lo scenario al quale davo le minori probabilità di successo, implica (teoricamente) una possibile fine del lungo trend ribassista.
In questo momento, infatti, sui vari grafici notiamo come i minimi e i massimi hanno ripreso la loro curva rialzista.
Avendo sbagliato la diagnosi, mi trovo in difficoltà a muovermi in questo nuovo scenario.
Per un motivo molto semplice: da oltre 25 anni seguo i mercati finanziari e non mi era mai capitato di vedere una ripresa così veloce.
I grossi trend ribassisti, infatti, impiegano un sacco di tempo prima di rigirarsi verso l’alto.
L’ultimo, quello del 2000-2003, per esempio, invertì rotta dopo quasi un anno (da Luglio 2002 a Marzo 2003). E fu uno dei più rapidi.
Questa fase ribassista che ha visto saltare tre mega banche (Lehman, Wachovia, Bear Stearns), le due più grosse società di erogazione mutui (Fannie Mae, Freddie Mac), la più grossa compagnia assicurativa del mondo (American Intl Group), il più grosso produttore di auto (General Motors) sembrerebbe aver già messo il peggio alle spalle in poco più di quattro mesi.
Possibile? Io ne dubito ma il mio pensiero non conta nulla.
I colleghi bullish osservano che il costo del denaro ormai a zero avvantaggia i mercati azionari visto
che il risparmiatore si trova nella condizione di non saper dove investire.
Può essere stata una delle molle che ha fatto scattare i corsi ma io ritengo che potrebbe riverlarsi un boomerang.
L’unico esempio che possiamo evidenziare è quello del Giappone che convive dagli anni novanta con
il costo del denaro ai minimi termini: il Nikkey non ne ha mai beneficiato in modo particolare.
Morale della favola: comprare adesso mi sembra troppo rischioso.
Aspetterei una forte correzione per cercare di capire se il trend dominante ha veramente svoltato oppure no.
Durante questi ultimi mesi, infatti, il mercato ha anche formato diversi grossi falsi segnali il più importante dei quali è stato il minimo=666 sull’SP500.
Quando i corsi sono scesi nettamente sotto 730 non si poteva non pensare ad un possibile disastro e, invece, da lì è partito un rimbalzo che pochi hanno previsto (anche se adesso, chissà come mai, tutti dicono che l’avevano messo in conto).
Non mi sembra il momento buono neanche per entrare sulle obbligazioni: Bund e T-Bond si trovano
a contatto con un’area di resistenza.
Qualche punticino dovrebbero retrocederlo (se il trentennale americano tornasse verso 112 sarebbe
il massimo!).
Sulle valute sono lì con il fucile puntato per cercare di impallinare il Dollaro: vedo un segnale interessante e ribassista sul cross tra Eur/Usd in caso di discesa sotto 1,41.
Il cambio Eur/Yen, invece, ha toccato un doppio massimo=138 ma non c’è ancora un segnale d’entrata a basso rischio.
Sulle azioni devo sottolineare l’unica cosa buona scritta nel Reporter del 24 Luglio: il risveglio di Espresso, Rcs Mediagroup e Mondadori che hanno guadagnato tra il 10% e il 20%.
Tra questi editoriali avevo inserito anche la piccola Poligrafici che, invece, è rimasta al palo.
Niente di male: è un titolo dimenticato che mette a segno i suoi rialzi nell’arco di poche sedute e poi torna nel dimenticatoio.
Tra le altre blue chip non posso che notare l’elevato livello di ipercomprato che le accomuna:
in genere, a meno che non ci si trovi nel bel mezzo di una fase rialzista, è opportuno aspettare una condizione di ipervenduto per effettuare acquisti a basso rischio.
Ed è anche per questo motivo che preferisco non correre dietro al trend che sta scappando via.
Prima o poi, com’è sempre successo, dovrà pur fermarsi e rifiatare.
Voglio concludere questo articolo ricordando il crack su Volkswagen: quando è salita fino a 1.000€ abbiamo portato in trionfo (io per primo) i manager della Porsche che avevano studiato un’operazione finanziaria così intelligente (in teoria).
In pratica si erano indebitati fino all’osso del collo e sono riusciti nell’impresa di mettere in grossa difficoltà un’azienda che faceva soldi a palate e un colosso che non aveva certo bisogno di dover impiegare miliardi di euro per evitare guai peggiori al suo nuovo azionista di maggioranza.

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